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Shingle 1944, il nuovo docufilm di Pierfrancesco Fiorenza

Nell'ambito delle celebrazioni dello sbarco anfibio di Anzio e Nettuno, il 21 Gennaio alle ore 17:00, presso l'aula consiliare del comune di Nettuno, ha avuto luogo la prima nazionale del documentario SHINGLE 1944 del regista e produttore romano Pierfrancesco Fiorenza.

Il film, le cui riprese si sono svolte nel 2017 nei comuni di Anzio, Aprilia e Nettuno, toccando i luoghi più rappresentativi del conflitto ricostruisce, in modo vivido e particolareggiato, il contesto socio-politico dell'epoca attraverso l'occhio attento di Fiorenza che affida l'inquadramento storico-militare a Enrico Canini, presidente dell'Associazione Operation Shingle 1944, autore e ricercatore storico ben conosciuto anche oltremànica.

Molti i camei che impreziosiscono la narrazione, che ha tutti i tratti di un lavoro dalle forti connotazioni antropologiche. Tra tutte emerge con forza la testimonianza di Harry Shindler, oggi novantacinquenne, ex militare britannico che fu inviato alla testa di sbarco nel gennaio del 1944 con la 1a Divisione Britannica. Egli dipinge, con il distacco-partecipazione di chi ha superato una prova terrificante e ne parla a distanza di decenni, la quotidianità dei militari, gli odori e gli umori della vita di 'buca', in cui la paura per l'incerto futuro fa da padrona, ma anche la consapevolezza, maturata successivamente, che nella miseria di un momento storico catastrofico, quella fu «una guerra giusta».

Non mancano certo le testimonianze di chi si è trovato a subire il conflitto nei panni civili, come la signora Wilma Fontana, nata ad Anzio. Ed è così che orrori inenerrabili giungono a noi attraverso il caledoiscopico racconto di una infanzia destata da un cataclisma inatteso che, nella mente di una bambina che a quel tempo aveva «solo cinque anni», passa per un gioco inconsueto e articolato, sebbene non privo di difficoltà e paure.

Ma il lavoro di Pierfrancesco Fiorenza attraversa anche l'impervio terreno della memoria storica.

E nelle scene suggestive dei cimiteri di guerra traspare, senza però un esplicito riferimento, l'assordante paradosso della 'guerra civile italiana', che resta tale anche al di là delle ragioni di quel tempo, oggi più chiare che mai. In un momento triste e terribile della nostra storia si ripete, ottant'anni dopo il Risorgimento, come un macabro e incalzante motivetto, l'adagio del fratricidio, che nella fisiologia del nostro Paese, nei suoi momenti 'più epocali' - se così si possono definire -, sembra essere una dinamica ricorrente.

C'è però anche chi, come il compianto Alfredo Rinaldi, la cui famiglia era originaria di Villa Santa Lucia (FR) una cittadina a ridosso della linea Gustav Cassinate, dopo lo sbarco viene 'adottato' da un militare americano, e si ritrova a indossare, da sedicenne, l'uniforme. Inizia così il suo ufficioso servizio nell'esercito dei liberatori d'oltreoceano, prima come aiuto cuoco, poi come aiuto meccanico in officina e, infine, come autista. Entra trionfante a Roma con gli Alleati, nel giugno del 1944, ma condivide con loro anche i momenti più difficili, come quando finisce in un campo minato e viene tratto in salvo dai compagni. La sua avventura, degna di uno sceneggiato hollywoodiano, termina all'indomani della partenza degli americani per la Francia.

Dopo aver raccolto le numerose ovazioni del pubblico pontino, l'ultima fatica del regista produttore romano, che da una prospettiva del tutto originale e inusuale, in settanta minuti densi di contenuti e ritratti, esplora uno degli eventi più importanti e controversi della seconda guerra mondiale, si appresta a raggiungere le prestigiose e importanti cornici del panorama cinematografico internazionale, come il Festival Internazionale del Cinema di Berlino, dove siamo certi riscuoterà un meritato successo.

di Damiano Parravano

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